Michel de Montaigne






Montaigne ritratto con la catena dell'Ordre de Saint-Michel conferitagli nel 1571 da Carlo IX


Michel Eyquem de Montaigne (Bordeaux, 28 febbraio 1533 – Saint-Michel-de-Montaigne, 13 settembre 1592) è stato un filosofo, scrittore e politico francese noto anche come aforista.



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Indice






  • 1 Biografia


    • 1.1 Il ritiro a vita privata e la stesura dei "Saggi"


      • 1.1.1 L'inclusione nell'Indice dei libri proibiti




    • 1.2 Un diario di viaggio


    • 1.3 Ritorno alla vita politica


    • 1.4 La "Tour de la librairie"


    • 1.5 L'importanza del pensiero di Montaigne


    • 1.6 Scetticismo e animalismo




  • 2 L'Educazione


  • 3 Eredi di Montaigne


  • 4 Note


  • 5 Traduzioni italiane


  • 6 Bibliografia


  • 7 Altri progetti


  • 8 Collegamenti esterni





Biografia |


Montaigne nacque da una famiglia di mercanti di Bordeaux nobilitata due generazioni prima. Il suo bisnonno, Ramon Eyquem, nel 1477, aveva acquistato un castello del XIV secolo a Saint-Michel-de-Montaigne, nel Périgord, e in questo modo acquisì il titolo di "Seigneur de Montaigne", che trasmise a figli e nipoti.


Tra costoro, Pierre Eyquem fu il primo a installarsi in modo permanente nel castello, che fece ristrutturare e fortificare. Aveva combattuto in Italia e sposato nel 1528 Antoinette de Louppes, di origini marrane, figlia di un mercante di Tolosa. Pierre Eyquem ricevette il titolo nobiliare nel 1511 e fu eletto sindaco della stessa Bordeaux nel 1554.


Michel fu il primo figlio della coppia a sopravvivere, e divenne il maggiore di sette tra fratelli e sorelle. Suo padre gli offrì un'educazione secondo i principi dell'umanesimo del XVI secolo. Secondo lo stesso Montaigne, fu inviato a balia in un povero villaggio perché si abituasse «al modo di vivere più umile e comune» (Saggi, III, 13). Ritornò al castello all'età di tre anni, e gli fu dato come precettore un medico tedesco di nome Hortanus, che ebbe ordine di parlargli solo in latino, come anche il resto della famiglia. A tredici anni Michel, conoscendo solo il latino, è inviato al collegio della Guyenne a Bordeaux, luogo insigne dell'umanesimo bordolese, dove impara il francese, il greco antico, la retorica e il teatro.


Non si sa se fu a Tolosa o a Parigi che compì, probabilmente tra il 1546 e il 1554, gli studi di diritto indispensabili alle sue attività future. Nel 1557 divenne consigliere alla "Cour des Aides" (Corte degli Aiuti) di Périgueux che fu in seguito unita al Parlamento di Bordeaux. Lì esercitò le sue funzioni per tredici anni, con diverse missioni alla corte di Francia. Dal 1561 al 1563 fece parte della corte di Carlo IX.


Nel 1558 incontrò Étienne de La Boétie, suo collega in parlamento, di tre anni più anziano, con cui strinse un'affettuosa e intensa amicizia e del cui pensiero, intriso di stoicismo, subì l'influenza.


Il 23 settembre 1565 sposò Françoise de La Chassaigne, più giovane di dodici anni, figlia di Joseph de La Chassaigne (1515-1572), signore di Javerlhac, consigliere del re e presidente del Parlamento di Bordeaux nel 1569. Con Françoise ebbe sei figlie, di cui sopravvisse la sola Léonor de Montaigne. Sembra che il matrimonio non avesse una grande importanza nella vita affettiva di Montaigne; i coniugi dormivano separati, cosa frequente all'epoca, e Montaigne, preso da altre attività, lasciava volentieri la gestione delle sue proprietà alla moglie.


Lo segnò profondamente invece la sua amicizia con Étienne de La Boétie, iniziata nel 1558. La prematura morte dell'amico, quattro anni dopo, lasciò un vuoto incolmabile in Montaigne, come risulta dalle espressioni commoventi contenute nel saggio De l'amitié:


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«[...] se paragono tutta la mia vita rimanente a questi quattro anni che egli mi ha regalato, essa non è altro che fumo, null'altro che una notte oscura e noiosa [...] gli stessi piaceri che mi si offrono, invece di consolarmi, raddoppiano il rimpianto della sua perdita [...]»



Nel 1568 morì il padre, a cui Michel era stato molto legato.
La prima opera pubblicata da Montaigne, composta per adempiere a un desiderio del padre, fu la traduzione dal latino dell'opera postuma di Raymond Sebond (1435-1486), Theologia naturalis, sive liber creaturarum (seconda edizione del 1488), col titolo La théologie naturelle de Raymon Sebon (1569).



Il ritiro a vita privata e la stesura dei "Saggi" |


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Lo stesso argomento in dettaglio: Saggi (Montaigne).

Dal 1570, ritiratosi nelle sue terre, si dedicò agli studi e alla meditazione.
Ammiratore di Virgilio e di Cicerone, come si conviene a un umanista scelse l'uomo, e se stesso in particolare, come oggetto di studio nella sua opera principale: i Saggi, a cui lavora a partire dal 1571. Commentando i classici, come Plutarco, Seneca e Lucrezio, Montaigne analizzò la condizione umana e la quotidianità, con una rara capacità d'introspezione libera da pregiudizi. Il suo progetto era quello di togliere le maschere e gli artifici per rivelare il vero sé.
Opera senza precedenti per sincerità e introspezione, è il ritratto di uno scettico per il quale sono da condannare le dottrine troppo rigide e le certezze cieche. I Saggi si possono considerare come esperimenti nel campo dei costumi e della morale, oltre che tentativi di autoanalisi, e la loro influenza fu molto ampia sulla filosofia francese e occidentale[1].


Durante le guerre di religione, Montaigne, cattolico, agì come moderatore, rispettato sia dal cattolico Enrico III che dal protestante Enrico di Navarra, a cui lo legava una solida amicizia. Nel 1577, quest'ultimo, diventato re di Navarra, lo nominò gentilhomme de sa Chambre.



L'inclusione nell'Indice dei libri proibiti |


Durante un viaggio di de Montaigne a Roma nel 1580, giunto alla dogana, gli ispettori perquisirono i suoi bauli e sequestrarono tutti i libri che vi trovarono, compresa una copia dei Saggi. L'opera di de Montaigne fu esaminata dai collaboratori del Maestro del sacro palazzo apostolico, il domenicano Fabri da Lucca, che attuarono le prime censure compilate tra il 1580 e il 1581, e in seguito comunicate dallo stesso Fabri da Lucca a de Montaigne, affinché ne tenesse conto nelle future edizioni dei Saggi. De Montaigne annotò sul suo diario di non essere stato avvertito di tanto rigorose procedure, di trovarle inusitate rispetto ad altre città d'Italia per le quali aveva transitato, di non comprendere i criteri della censura romana, e aggiunse di attendersi una lunga inchiesta[2].


Tra i motivi delle censure fu incluso lo scetticismo di Montaigne nei confronti di miracoli, visioni, incantesimi e altre credenze di tipo soprannaturale, compresa la stregoneria, che erano oggetto di diffusa convinzione presso i suoi contemporanei. Secondo Montaigne era necessario ricorrere alle spiegazioni mediche, riguardo ai fenomeni di presunta stregoneria, e somministrare terapie per sofferenze mentali a persone psichicamente turbate, piuttosto che accendere roghi per bruciare pretesi servi del maligno. Inoltre gli fu contestato di aver fatto largo uso del termine "fortuna" (termine ritenuto pregno di determinismo astrale); di ritenere crudeltà le esecuzioni capitali in cui si ecceda nel tormento del condannato e la lode dei meriti letterari e poetici di autori eretici (in particolare Teodoro di Beza), che secondo Montaigne avrebbero dovuto essere riconosciuti indipendentemente dalle posizioni religiose dell'autore[2].


Le edizioni successive dei Saggi, espurgate secondo le indicazioni del domenicano Fabri da Lucca, non furono incluse negli Indici dei libri proibiti successivi, ma l'opera di de Montaigne ricevette una condanna definitiva il 28 gennaio 1676, emessa dalla Congregazione dell'Indice dei libri proibiti e protrattasi sino al 1966, che comportava la proibizione dell'opera in qualunque lingua fosse scritta. Il documento di condanna, redatto dal francescano Antonio Gillius, denunciava i Saggi come opera gravemente pericolosa, poiché molto sospetta di eresia, e corruttiva dei buoni costumi, in forza del suo carattere licenzioso ed empio[2].


I Saggi furono condannati anche dalle autorità calviniste a Ginevra nel 1602, che attraverso il teologo Simon Goulart dapprima censurarono il testo e in seguito lo proibirono definitivamente come opera formante gli uomini all’ateismo[2].



Un diario di viaggio |




L'itinerario del viaggio in Italia di Michel de Montaigne 1580-1581


Nel 1580 e nel 1581 effettuò un lungo viaggio in Francia, Svizzera, Germania ed Italia, nella speranza di trovare beneficio nelle acque termali per combattere la calcolosi renale di cui soffriva. Dopo aver sostato brevemente a Verona ed a Venezia, fu a Roma, dove rimase fino all'aprile del 1581, ricevuto con tutti gli onori. A maggio ripartì e visitò più approfonditamente la Toscana (passando per le Marche dove fu impressionato favorevolmente dalla città di Macerata), che aveva già attraversato nell'autunno dell'anno precedente. Rimase impressionato anche da Empoli, Lucca, Pistoia e altri centri minori, ma non da Firenze che trovò incomparabilmente meno bella di Venezia. Si trattenne lungamente a Bagni di Lucca, per sottoporsi alla cura delle acque.


A settembre dello stesso anno, ebbe notizia della sua nomina a sindaco di Bordeaux e prese la via del ritorno. Le annotazioni sul lungo viaggio furono da lui raccolte nel Journal du voyage en Italie par la Suisse et l'Allemagne - Diario del viaggio in Italia attraverso la Svizzera e la Germania - pubblicato soltanto due secoli dopo, nel 1774 con il titolo Journal du Voyage de Michel de Montaigne en Italie, par la Suisse et l’Allemagne, en 1580 et 1581. Si tratta di un libro contenente varie notizie sull'Italia (usi, costumi, tradizioni).



Ritorno alla vita politica |


Rientrato in patria, il filosofo svolse con competenza il suo biennio di sindaco, e venne rieletto per altri due anni. In quest'ultimo periodo, ebbe modo di dimostrarsi abile diplomatico, mediando fra il capo protestante Enrico di Navarra (futuro re col nome di Enrico IV), il capo cattolico Enrico di Guisa ed il maresciallo de Matignon[3], al fine di evitare che la città di Bordeaux venisse coinvolta nella guerra civile scoppiata nel 1584 a seguito della morte dell'erede designato duca d'Angiò.


Alla scadenza del mandato (1585), nella regione di Bordeaux scoppiò un'epidemia di peste. Montaigne dovette allontanarsi dalle sue terre, e passata l'epidemia, si ritirò nel suo castello ed iniziò l'elaborazione del terzo libro dei Saggi, che sarebbe stato pubblicato nel 1588.



La "Tour de la librairie" |


La "Tour de la librairie" (torre della biblioteca)[4], al terzo piano della quale Montaigne si ritirava ad elaborare i suoi lavori letterari, era un edificio cilindrico, e resta ancor oggi l'unica parte conservata del Castello di Montaigne a Saint-Michel-de-Montaigne.
Nel 1587 fu assalito e derubato in viaggio verso Parigi, ed arrivato nella città, venne imprigionato per qualche ora, in seguito ai tumulti scoppiati. Nel 1588 il filosofo conobbe Marie de Gournay, un'appassionata ammiratrice delle sue opere.
La morte lo sorprese nel 1592, mentre lavorava ai suoi Saggi. La ricchezza e la varietà di esperienze della sua vita ed il ruolo importante ricoperto danno un valore particolare alle sue osservazioni psicologiche ed alle sue riflessioni morali.



L'importanza del pensiero di Montaigne |


Lo scopo dichiarato della sua opera è "descrivere l'uomo, e più particolarmente se stesso".


"L'argomento del mio libro sono io" scriverà nelle prime pagine dei Saggi, ed in essi parlerà a lungo delle sue caratteristiche fisiche, del suo temperamento, dei suoi sentimenti, delle sue idee e degli avvenimenti della sua vita. Il suo fine è quello di conoscersi e di conquistare la saggezza. Il sentimento di una vita pienamente accettata e quindi goduta, la serena attesa della morte, considerata un evento naturale da attendere senza timore, rendono questo libro estremamente umano.


Montaigne stima che la variabilità e l'incostanza sono due delle sue caratteristiche principali. Egli descrive la sua debole memoria, la sua capacità di sciogliere i conflitti senza farvisi implicare emotivamente, il suo disgusto per gli uomini che inseguono la celebrità e i suoi tentativi per distaccarsi dalle cose del mondo per prepararsi alla morte. Il suo celebre motto: "Che cosa conosco?" appare come il punto di partenza di tutto il suo pensiero filosofico.


L'opera del filosofo dà al lettore l'impressione che l'attività pubblica abbia impegnato l'autore esclusivamente nel tempo libero, mentre la sola cosa essenziale per Montaigne rimane la conoscenza di sé e la ricerca della saggezza. Nei Saggi viene raffigurato un uomo in tutta la sua complessità, consapevole delle sue contraddizioni, animato da due sole passioni: la verità e la libertà.






«[...] sono così assetato di libertà che mi sentirei a disagio anche se mi venisse vietato l'accesso ad un qualsiasi angolo sperduto dell'India [...]»



Il filosofo fu tra i pionieri del pensiero moderno. Studiando se stesso, giunse all'accettazione della vita con tutte le sue contraddizioni. La condizione umana ideale è per Montaigne l'accettazione di se stessi e degli altri con tutti i difetti e con tutti gli errori che la natura umana comporta. Gli ultimi anni dello scrittore furono confortati dall'affettuosa presenza di Marie de Gournay, che egli volle come figlia adottiva. E fu proprio Maria a curare - insieme a Pierre de Brach - un'edizione delle opere di Montaigne, apparsa postuma nel 1595.


L'influenza dello scrittore è stata grandissima per tutta la letteratura europea. I Saggi sono considerati una delle opere più significative ed originali del rinascimento. Sostanzialmente sono brani di varia lunghezza, struttura, soggetto ed umore. Taluni sono di estrema brevità, mentre altri - più estesi - affrontano problemi specifici di quel tempo come, ad esempio, l'uso della tortura come mezzo di prova.


Lo stile di Montaigne è allegro e spregiudicato: passa velocemente da un pensiero all'altro. Le sue considerazioni sono costantemente puntellate con citazioni di classici greci e latini. Giustifica questa abitudine con l'inutilità di "ridire peggio qualcosa che un altro è riuscito a dire meglio prima".


Mostra la sua avversione per la violenza e per i conflitti fratricidi tra cattolici e protestanti che avevano cominciato a massacrarsi nello stesso periodo in cui appariva il Rinascimento, deludendo le speranze che gli umanisti avevano riposto in esso. Per Montaigne, bisogna evitare la riduzione della complessità a opposizioni nette, all'obbligo di schierarsi, e privilegiare la ritirata scettica come risposta al fanatismo.









«Malgrado la sua lucidità infallibile, malgrado la pietà che lo sconvolgeva fino in fondo all'animo, egli ha dovuto assistere a questa spaventosa ricaduta dell'umanesimo nella bestialità, a uno di quegli eccessi sporadici di follia che prendono a volte l'umanità (...) è questa la vera tragedia della vita di Montaigne»


(Stefan Zweig, « le Monde d'hier — Souvenirs d'un Européen », trad. de Serge Niémetz, Belfond, p. 534)

Gli umanisti avevano creduto di ritrovare nel Nuovo Mondo l'Eden, mentre Montaigne deplora che la sua conquista porti sofferenze a coloro che si tenta di ridurre in schiavitù. Egli provava più orrore per la tortura che i suoi simili infliggevano a degli esseri viventi che per il cannibalismo di quegli Indiani d'America che si chiamavano "selvaggi", e che ammirava per il privilegio che riservavano al loro capo di "marciare verso la guerra per primo".


Come molti uomini del suo tempo (Erasmo, Tommaso Moro, Guillaume Budé) Montaigne constatava un relativismo culturale, riconoscendo che le leggi, le morali e le religioni delle differenti culture, anche se spesso molto diverse e distanti, hanno tutte qualche fondamento.


Soprattutto Montaigne è un grande sostenitore dell'umanesimo. Se crede in Dio, si sottrae a qualsiasi speculazione sulla sua natura, e poiché il sé si manifesta nelle contraddizioni e nelle variazioni, pensa che debba essere spogliato delle credenze e dei pregiudizi che l'impacciano.



Scetticismo e animalismo |


Gli scritti di Montaigne sono contrassegnati da un pessimismo e da uno scetticismo rari al tempo del Rinascimento. Citando il caso di Martin Guerre, egli pensa che l'umanità non possa raggiungere la certezza e rigetta le proposizioni assolute e generali. Secondo Montaigne, non possiamo prestare fede ai nostri ragionamenti perché i pensieri ci appaiono senza atto di volontà: non sono in nostro controllo. Perciò, nella Apologia di Raymond Sebond, egli afferma che noi non abbiamo ragione di sentirci superiori agli animali.


D'altra parte, l'affermazione che l'uomo non è superiore agli animali non è unicamente strumentale alla demolizione delle certezze della ragione. Montaigne, così come tocca il tema della schiavitù ribaltando e negando la tesi aristotelica dello "schiavo naturale", ribalta anche la tradizionale concezione antropocentrica che pone l'uomo al vertice della natura e – ispirandosi alle critiche di Plutarco alle crudeltà sugli animali – nega che l'uomo abbia il diritto di opprimere gli animali, dato che essi, come lui, soffrono e provano sentimenti. Inoltre Montaigne deplora, nel saggio Della crudeltà, la barbarie della caccia, esprimendo la sua compassione nei confronti degli animali innocenti e senza difese verso i quali, anziché esercitare una «sovranità immaginaria», l'uomo dovrebbe riconoscere un dovere di rispetto.[5]



L'Educazione |


Tra i temi trattati di maggior interesse ci sono l'educazione, l'amicizia, la virtù, il dolore, la morte.
Nell'Educazione, Montaigne aborrisce i castighi e la costrizione in tutte le sue varie forme. Il metodo seguito nell'esposizione, che tende a toccare più temi contemporaneamente, rende talvolta laborioso seguire la linea di sviluppo del suo pensiero.


Ogni problema viene analizzato con grande acume ed introspezione. Ad esempio, Montaigne si pone domande sulla morte e sul modo migliore di prepararsi ad essa. Illustra poi il suo metodo per affrontare il dolore della malattia, ed afferma l'esigenza di un sistema educativo che privilegi l'intelligenza e non la memoria - sapere a memoria non significa sapere - presupponendo la formazione di un uomo di sano giudizio, dotato di spirito critico che gli permetta di reagire adeguatamente in tutte le circostanze. Inoltre, ammira gli indigeni americani per la loro lealtà e semplicità di costumi, ed analizza la vera e la falsa amicizia affidandosi all'esperienza umana più che alle teorie astratte.


Numerosi lettori rimasero considerevolmente affascinati dall'autoritratto dell'autore che il libro traccia. Montaigne non rifugge dal descriversi pieno di paradossi e di contraddizioni. I Saggi rappresentano il primo autoritratto della letteratura europea ed hanno avuto un influsso decisivo su scrittori, letterati e filosofi successivi come Blaise Pascal, Jean-Jacques Rousseau e Marcel Proust.


Da un punto di vista strettamente filosofico, si può osservare che il pensiero di Montaigne resta troppo sfumato per poter rientrare in un sistema filosoficamente rigido, ed è passato da una fase stoica (1572-1573) ad una scettica nel 1576, prima di raggiungere una posizione autonoma. Per l'esistenza e la natura di Dio, si affida alla rivelazione, ma il suo pensiero si colloca molto vicino all'agnosticismo, ed infatti più della fede pone in rilievo il dubbio, che considera un incentivo che mantiene il giudizio sempre attento ed ancestralmente vivido.



Eredi di Montaigne |


Nella storia della filosofia, i principali eredi dell'opera di Montaigne sono Rousseau, Pascal, Ralph Waldo Emerson, Friedrich Nietzsche, Emil Cioran ed Edgar Morin.



Note |




  1. ^ Franco Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori, 2000


  2. ^ abcd Saverio Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, Salerno Editrice, 2008


  3. ^ Per questo periodo cfr. Michel de Montaigne, Lettere, con testo originale e traduzione a fronte, a cura di A. Frigo, Firenze, Le Monnier Università, 2010.


  4. ^ "Michel Eyquem de Montaigne,
    discendente di ricchi mercanti, aveva
    avuto la fortuna di avere un’immensa
    biblioteca a sua disposizione": Nicola Zoller, Rileggere Montaigne, Mondoperaio, n. 7-8/2017, p. 111.



  5. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci editore, Roma 2008, pp. 53-55.



Traduzioni italiane |




  • Saggi, Testo francese a fronte, a cura di Fausta Garavini, Milano, Bompiani, 2012.


  • Apologia di Raymond Sebond, testo francese a fronte, Milano, Bompiani, 2004.


  • La torre di Montaigne. Le sentenze iscritte sulle travi della biblioteca, testo originale a fronte, Milano, La Vita Felice, 2012.


  • Lettere, testo originale a fronte, Milano, Mondadori Education, 2010.


  • Viaggio in Italia, Milano, BUR Rizzoli, 2003.



Bibliografia |



  • Anna Maria Battista, Alle origini del pensiero politico libertino : Montaigne e Charron, Milano, Giuffré, 1966.

  • Raffaele Carbone, Différence e Mélange in Montaigne, Mimesis, Milano-Udine 2013.

  • Guillaume Cazeaux, Montaigne et la coutume [Montaigne ed il costume], Milano, Mimesis Edizioni, 2015.

  • Pietro Citati, Nella torre di Montaigne, la Repubblica, 12 luglio 1992.

  • Fausta Garavini, Itinerari a Montaigne, Firenze, Sansoni,1983 (trad.francese, Itinéraires à Montaigne.Jeux de texte, Paris,Champion, 1995).

  • Fausta Garavini, Mostri e chimere. Montaigne, il testo, il fantasma, Bologna, Il Mulino, 1991 (trad. francese, Monstres et chimères.Montaigne, le texte et le fantasme, Paris, Champion, 1993).

  • Fausta Garavini (a cura di), Carrefour Montaigne, Pisa, ETS /Slatkine, 1994.

  • Fausta Garavini, Michel de Montaigne a cavallo con lo scriba, Alias Domenica, 10 agosto 2014.

  • Gianni Paganini, Skepsis. Le débat des modernes sur le scepticisme : Montaigne, Le Vayer, Campanella, Hobbes, Descartes, Bayle, Parigi, Vrin, 2008.

  • Nicola Panichi, Montaigne, Roma,Carocci, 2010.

  • Nicola Panichi, Renzo Ragghianti, Alessandro Savorelli (a cura di), Montaigne contemporaneo, Pisa, Edizioni della Normale, 2011.

  • Renzo Ragghianti, Introduzione a Montaigne, Bari, Laterza, 2001.

  • Paolo Slongo, Governo della vita e ordine politico in Montaigne, Milano, FrancoAngeli, 2001.

  • Jean Starobinski, Montaigne. Il paradosso dell'apparenza, Bologna, Il Mulino, 1989.

  • Domenico Taranto, Pirronismo ed assolutismo nella Francia del '600. Studi sul pensiero politico dello scetticismo da Montaigne a Bayle (1580-1697), Milano, Angeli, 1994.



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