Dialetti italiani meridionali




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Nota disambigua.svgDisambiguazione – "Lingua napoletana" rimanda qui. Se stai cercando la varietà dialettale parlata nell'area napoletana, vedi Dialetto napoletano.

















































Italiano meridionale
Parlato in
Italia Italia
Regioni
Abruzzo Abruzzo Basilicata Basilicata
Calabria Calabria Campania Campania
Lazio Lazio Marche Marche
Molise Molise Puglia Puglia
Locutori
Totale 12.000.000 ca
Classifica non in top 100
Altre informazioni
Scrittura alfabeto latino
Tipo regionale
Tassonomia
Filogenesi
Indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italo-occidentali
    Italo-dalmate
     Italo-romanze
      Italiano meridionale
Codici di classificazione
ISO 639-2 nap
ISO 639-3
nap (EN)
Glottolog
neap1235 (EN)

Neapolitan noborders.jpg
Diffusione dei dialetti italiani meridionali

I dialetti italiani meridionali (o meridionali intermedi, o ancora alto-meridionali) costituiscono, nella classificazione dei dialetti d'Italia elaborata da Giovan Battista Pellegrini, una sezione del più ampio raggruppamento dei dialetti centro-meridionali.[1] Il termine "dialetto" va inteso nella sua accezione di "lingua contrapposta a quella nazionale" e non come "varietà di una lingua". La classificazione ISO 639-3 individua il diasistema attraverso il codice nap definito napoletano-calabrese da Ethnologue[2] e italiano meridionale (South Italian) o, più semplicemente, napoletano dall'Atlante delle lingue del mondo vulnerabili dell'UNESCO[3], perché la sua area si identifica in gran parte con quella dell'antico regno di Napoli; di conseguenza, tale gruppo linguistico non è da confondere col dialetto napoletano, uno dei membri del gruppo stesso. Nel medioevo era invece in uso la definizione di volgare pugliese[4], con probabile derivazione dal ducato di Puglia e Calabria che in epoca normanna gravitava su Salerno.


Secondo una classificazione ormai consolidata sin dagli ultimi decenni del XIX secolo[5], il territorio dei dialetti alto-meridionali si estende dunque dall'Adriatico al Tirreno e allo Jonio, e più precisamente dal corso del fiume Aso, a nord (nelle Marche meridionali, al confine fra le province di Ascoli Piceno e Fermo)[6], fino a quello del fiume Coscile, a sud (nella Calabria settentrionale, provincia di Cosenza), e da una linea che unisce, approssimativamente, il Circeo ad Accumoli a nord-ovest, fino alla strada Taranto-Ostuni a sud-est. Questo territorio arriva ad includere otto regioni italiane, tre delle quali (Campania, Molise, Basilicata) per intero.


Si tratta, ad eccezione delle Marche meridionali, di terre appartenenti al Regno di Napoli. Per contro, nel territorio del Regno erano presenti anche alcuni dei dialetti oggi classificati come italiani mediani[7]: l'aquilano, l'amatriciano, il carseolano ed il cicolano[8].


Il tratto principale che separa i dialetti alto-meridionali dai dialetti meridionali estremi è il trattamento delle vocali non-accentate (“atone”) finali: nei primi, queste subiscono un mutamento in /ə/ (vocale popolarmente definita “indistinta”)come possiamo notare nel dialetto tarantino, per esempio in tarantino "bello" si dice beddə, mentre questo non avviene nel dialetti del Salento né in quelli della Calabria meridionale, che costituiscono così i territori peninsulari del diasistema linguistico a vocalismo siciliano. A nord, questo stesso fattore forma anche il confine (sfumato e graduale in alcune aree limitrofe) coi dialetti mediani, che hanno sette vocali fonemiche accentate, e solo cinque non-accentate.


La presenza di un'ulteriore vocale (/ə/) nell'Alto Meridione implica un sistema fonemico diverso da quello calabrese e siciliano (in cui /ə/ è asistematica, o del tutto assente, e comunque di natura puramente fonetica).


Nei dialetti alto-meridionali il mutamento in /ə/ ("affievolimento"/"indebolimento") delle vocali non-accentate comporta ripercussioni sui fatti morfologici, ad esempio sulla formazione del plurale dei sostantivi, con l'innesco di una complessa metafonesi.


I principali sottogruppi dei dialetti italiani alto-meridionali sono i seguenti:




  • dialetti abruzzesi e marchigiani meridionali, comprendente buona parte d'Abruzzo (fatta eccezione per la parte occidentale della provincia dell'Aquila) e l'area picena delle Marche;


  • dialetti molisani, comprendente il Molise;


  • dialetti pugliesi centro-settentrionali, comprendente buona parte della Puglia (fatta eccezione per il Salento);


  • dialetti campani, comprendente la Campania ed il Basso Lazio;


  • dialetti lucani e calabresi settentrionali, comprendente la Basilicata e l'area cosentina.




Indice






  • 1 Caratteristiche comuni


    • 1.1 Fonologia e fonetica


    • 1.2 Fenomeni generali


    • 1.3 Morfologia


    • 1.4 Sintassi


    • 1.5 Lessico




  • 2 Sviluppi specifici regionali


    • 2.1 Fonologia


      • 2.1.1 Sistemi vocalici particolari


      • 2.1.2 Frangimenti vocalici


      • 2.1.3 Casi particolari di metafonesi


      • 2.1.4 Isocronismo sillabico


      • 2.1.5 Propagginazione


      • 2.1.6 Casi particolari di vocalismo atono finale


      • 2.1.7 Esiti della labiovelare secondaria


      • 2.1.8 Esiti di L, LL


      • 2.1.9 Conservazione di L dopo consonante


      • 2.1.10 Esiti di consonanti davanti a I semivocalico




    • 2.2 Morfologia


      • 2.2.1 Tripartizione dell'avverbio di modo 'così'


      • 2.2.2 Mantenimento di -S e -T finali preromanze


      • 2.2.3 Irregolarità del presente indicativo


      • 2.2.4 Tipi arcaici del condizionale presente


      • 2.2.5 Conservazione del perfetto latino


      • 2.2.6 Oscillazione tra le coniugazioni




    • 2.3 Sintassi


      • 2.3.1 Essere come ausiliare dei verbi transitivi


      • 2.3.2 Rapporto durativo




    • 2.4 Lessico




  • 3 Il meridionale nella letteratura e negli studi linguistici


    • 3.1 Placiti cassinesi


    • 3.2 Montecassino


    • 3.3 La «scuola siciliana»


    • 3.4 L'età moderna


    • 3.5 Prosa


    • 3.6 Cultura di massa




  • 4 Note


  • 5 Bibliografia


  • 6 Voci correlate


  • 7 Altri progetti





Caratteristiche comuni |


La principale caratteristica fonologica che separa i dialetti alto-meridionali da quelli mediani e meridionali estremi è il mutamento in schwa /ə/ delle vocali non-accentate ("atone"). A nord della linea San Felice Circeo-Frosinone-Sora-Antrosano di Avezzano-L'Aquila-Campotosto-Accumoli-Aso (Cupra Marittima), le vocali atone (non-accentate) sono periferiche, ossia pronunciate chiaramente; a sud di questa linea compare il fonema /ə/, che si ritrova poi fino ai confini con le aree basso-meridionali i cui i dialetti appartengono alla lingua siciliana, ossia alla linea Cetraro-Bisignano-Melissa. Solitamente però nelle aree più settentrionali immediatamente a ridosso della prima linea di confine la /-a/ finale di regola rimane: tale fenomeno si verifica ad esempio nelle Marche meridionali, come nel grosso della provincia dell'Aquila e nella Ciociaria. Lo stesso si verifica in alcune aree al confine con i dialetti meridionali estremi, come ad esempio ad Ostuni.


Esistono altri fattori alla base della separazione tra dialetti alto-meridionali e dialetto mediani (Avolio). Infatti alcuni dialetti della parte meridionale della provincia di Latina (Lenola, Minturno, Castelforte, Santi Cosma e Damiano) e della provincia di Frosinone (Coreno Ausonio, Ausonia, Sant'Apollinare, Sant'Ambrogio sul Garigliano), pur appartenendo al dominio meridionale, hanno caratteristiche peculiari sia nelle vocali accentate che in quelle non-accentate. Sono da considerarsi, dunque, meridionali i dialetti che presentino contemporaneamente i seguenti fenomeni.



Fonologia e fonetica |




  • Sistema vocalico romanzo comune, condiviso dalla quasi totalità dei dialetti romanzi, fatta eccezione per l'area meridionale estrema, la Sardegna e la Romania.


  • Metafonesi, un fenomeno che distingue nettamente i dialetti mediani e alto-meridionali da quelli toscani. È il fenomeno per cui le vocali toniche é ed ó si chiudono in presenza di una -i od una -u finale, così come le vocali è ed ò si chiudono o dittongano. Casi di metafonesi sono, ad esempio, nére 'nera', rispetto a níre 'nero', oppure buóne 'buono', rispetto a bbòne 'buona'.


  • Indebolimento delle vocali atone che confluiscono nel suono indistinto ə (simile alla e del francese de, le e chiamato dai linguisti schwa).

  • Tendenza a pronunciare in modo simile i suoni b e v in posizione iniziale, caratteristica comune mediano-meridionale che esclude la Toscana (ad esempio, vàrche 'barca' < BARCA, vàse bacio < BASJU, come vìne 'vino' < VINU).


  • Sonorizzazione delle consonanti sorde dopo nasale e dopo l, caratteristica comune mediano-meridionale che esclude la Toscana (ad esempio, càmbe 'campo' < CAMPU, pónde 'ponte' < PONTE).


  • Assimilazione progressiva dei nessi consonantici ND > nn, MB > mm, caratteristica comune mediano-meridionale, ma presente anche nell'area meridionale estrema (ad esempio, tùnne 'tondo' < TUNDU, palùmme 'colomba' < PALUMBA).


  • Palatalizzazione dei nessi latini di consonante + L, caratteristica comune anche alla lingua italiana (ad esempio, chiàve ' chiave' < CLAVE, fiòre 'fiore' < FLORE).

  • Tendenza ad alterare la L nei nessi latini LT, LK, LD, LS, LZ (ad esempio, curtídde 'coltello', fàveze 'falso', dòce 'dolce').



Fenomeni generali |




  • Apocope degli infiniti, caratteristica comune mediano-meridionale (ad esempio, candà 'cantare', vedé 'vedere', accìde 'uccidere', còlche 'dormire')


  • Metatesi di r (ad esempio, cràpe 'capra', prévete 'prete').


  • Raddoppiamento fonosintattico, fenomeno che consiste nella pronuncia raddoppiata della consonante iniziale provocata da un monosillabo precedente, detto 'forte' (ad esempio, tu vuò 'tu vuoi', ma che vvuò 'che vuoi').



Morfologia |




  • Neutro di materia, fenomeno comune mediano-meridionale, che consiste nella presenza di un terzo genere accanto al maschile e al femminile, per i sostantivi che denotano sostanze ed il relativo articolo (ad esempio, lë sàlë 'il sale', distinto da glië rìtë 'il dito').


  • Ènclisi dell'aggettivo possessivo, fenomeno comune mediano-meridionale (ad esempio, pateme 'mio padre' o sòrete 'tua sorella').

  • Tripartizione dei dimostrativi, fenomeno comune anche alla lingua italiana, per cui si trovano, ad esempio, chiste/"cusse" 'questo', chìlle/"quílle"/"cùdde"/"quiglie" 'quello' e chìsse/"cusse ddò - proppete cusse" (fenomeno presente nella zona del barese) 'codesto'.

  • Tipo più diffuso di condizionale presente in -ìa (ad esempio, mangiarrìa 'mangerei'); nell'apulo-barese, al contrario, il condizionale viene formato anteponendo al verbo all'infinito la forma "avésse a" o "jére a" a seconda della zona).



Sintassi |




  • Accusativo preposizionale, uso della preposizione a prima del complemento oggetto (ad esempio, salùteme à sòrete 'salutami tua sorella').

  • Impopolarità del futuro, sostituito dal presente indicativo o dalla forma avé a 'avere a'.

  • Costruzione "andare + gerundio" per enfatizzare l'aspetto durativo dell'azione (ad esempio, che vvànne facènne? che stanno facendo (così in giro)?).



Lessico |


Il prospetto che segue[9] mette a confronto vocaboli napoletani, lucani centro-settentrionali e abruzzesi adriatici e centro meridionali, con l'intento di mostrare la sostanziale unità lessicale della lingua alto-meridionale.
Come si vedrà, molte delle seguenti radici lessicali possono ricorrere anche in siciliano come peraltro in toscano/italiano.



















































































































































































































































































































































































Ital. Nap. Luc. Abr. Adriatico Abr. Centro merid.
Apulo-barese
accendere appiccià
appeccià / appezzecà
appiccià
appiccià

appeccé
adesso mo



albero arvulo-arbero chiànde / iarve piànde
piànde

arve
anche púro pùre pùre
pùre

pure
andare ire-ì-gghì ggì / scì


scì
avere tené tené tené
tené

avé
bene buono bbùone bòne
bbuóne

bune
cieco cecato cecàte cicàte
cecàte

cechéte
cimitero campusanto cambesànde cambesànde
cambesànde

quatte tumele, cambesande
comprare accattà accattà accattà
accattà

accatté
donna fémmena fémmene fémmene
fémmene

fémmene
dove addove-addó addove duà
addò - 'ndò

addove, ove
dovere (verbo) avé a avé a tené a
tené a

avé a
duro tuósto tùste tòšte
tuòšte

tuéste
fabbro ferràro ferràre ferràre
ferràre

ferrére
gamba gamma-cossa gamme/iamme còsse
còsse

gamme
gregge mórre mórre mòrre
mòrre

morre
impiccato mpìso mbìse mbìse
mbìse

embechéte
lavorare faticà fatigà/fatià fatià
fatià

fadeghé
maggiore chiù ggruósso chiù ggrànne chiù ggròsse
chiù ggruòsse

chiù granne
magro sìcco sìcche sécche
sìcche

mazze
meglio cchiù mmeglio chiù mmèglie/mégghje chiù mmèje
chiù mmèje

mégghje
mio fratello fràtemo fràteme fràteme
fràteme

frateme
neanche mànco-mango mànghe mànghe
mànghe

manghe
nessuno nisciúno nisciùne niçiùne
niçiùne

nesciune
nonno
tatone (arc.)

tattarànne (arc.)

tatóne (arc.)

tatóne - tatà (arc.)

tataranne
patate patàne patàne patàne
patàne

paténe
prendere piglià piglià/pigghjà piià
piià

pegghjé
quest'anno auànne aquànne uanne
auànne

cuss'anne
risparmiare sparagnà sparagnà sparagnà
sparagnà

sparagné
sabbia arena-rena réne réne
réne

sagghje
saltare zompà-zumpà zumbà zumbà
zumbà

zumbé
scherzare pazzià pazzià/pazzié pazzià
pazzià

scherzé
scotta còce coce/cosce cóce
cóce

cosce
seduto assettato assettòte/assettàte assettàte
assettàte / ascise

azzise
so (verbo) sàccio sàcce sàcce
sàcce

sacce
topo sorece sòrece/sciorge sòrege
sùrege

suérge
voglia vulìo vulìe/prisce/spile vuglie
vulìe

prisce
padre

pate

attàne

patre

patre

atténe
tacchino

gallarínio

gaddrènije/uicce

vicce

vicce

uicce
piccolo

piccirillo

pecceninne/meninne/nicche

cenénne

ceninne / piccerille

meninne
domani

demane

craje

dumane

dumane

cré
dopo domani

doppudemane

postcraje/pescraje

doppedumane

pojedumane / doppedumane

pescré
vino

vino

vine/mire/miere

vine

vine

mire
solamente

sulamente

sole/sule/sckitte

sulamende

schitte / sulamende

sckitte


Sviluppi specifici regionali |



Fonologia |



Sistemi vocalici particolari |


In una zona a cavallo del Massiccio del Pollino, fra i fiumi Agri e Crati detta Mittelzone o area Lausberg dai linguisti[10] (l'area include, ad esempio, Maratea, Valsinni, Lauria o Rotonda in Lucania e Trebisacce o Cerchiara di Calabria in Calabria) il sistema vocalico è equivalente a quello della Sardegna. Sempre all'interno dell'area Lausberg, alcuni studiosi fanno menzione di un'area intermedia fra vocalismo siciliano e vocalismo sardo, da collocarsi subito dopo il confine centro-occidentale fra Lucania e Calabria, in comuni quali Mormanno, Morano Calabro, Scalea o Castrovillari in provincia di Cosenza, con alcune propaggini nei comuni di Lauria e Maratea in provincia di Potenza. Immediatamente a nord, nella Basilicata centrale, si estende un'area, detta Vorposten, con vocalismo equivalente a quello rumeno, evidente compromesso fra il sistema "sardo" a sud e quello "romanzo comune" a nord. A ovest e nord del Vorposten, si trova un sistema vocalico ancora diverso nell'area detta Randgebiet (ad esempio a Teggiano). Nel Cilento meridionale (ad esempio a Sala Consilina) si ritrova il sistema vocalico siciliano che caratterizza tutta la Calabria a sud del Crati.



Frangimenti vocalici |


Questo fenomeno consiste nell'alterazione delle vocali toniche tanto nell'apertura quanto nel timbro, dando luogo a svariati esiti, dittonghi, palatalizzazioni, ecc. I frangimenti sono fenomeni guizzanti che interessano l'Abruzzo adriatico e meridionale, il Molise, la Puglia centro-settentrionale e le contigue aree della Basilicata, nonché alcuni dialetti ad ovest di Napoli, fra cui quelli di Pozzuoli ed alcuni dell'isola d'Ischia.
I frangimenti riguardano tutte le vocali toniche, ad esempio:




  • I: camöçë 'camicia' e 'vino' a Sant'Omero, spünë a Pescocostanzo, mulunë 'mulino' ad Assergi, farèinë 'farina' a Palena, fërméchë ' formica' a Sulmona, fënë 'fine' a Teramo, jóië 'andare' a Pratola Peligna e Pretoro, lunë 'lino' a Tufillo,vóitë 'vita' a Popoli, föilë 'filo' a Pozzuoli, fëilë 'filo' a Castiglione Messer Marino, foéiëlë 'filo' a Musellaro, schǜnë 'schiena' a Rapino, müttë '(tu) metti' a Campli;


  • É: fråddë 'freddo' e quàllë 'quello' a Teramo, giardënòttë 'giardinetto' a Giulianova, quòssë "questo" a Penne, dëndrë "dentro" a Loreto Aprutino, màië 'me' e ràië 're' a Bucchianico, méisë 'mese' a Lucera, munnàzzë 'immondizia' a Teramo, Campli, ecc., nàivë 'neve' a Pescasseroli, candòilë 'candela' a Fara San Martino, sòtë ' sete' a Catignano, paiòisë 'paese' a Popoli, ;


  • A: chènë 'cane' a Ortona, ciésë 'casa' a Pietracamela, còinë "cane", còisë 'casa' e vàichë '(io) vado' ad Andria, grònë 'grano' a Ruvo di Puglia, làinë 'lana' a Ceglie Messapica, luchë 'lago' a Frosolone, sëànë 'sano' ad Agnone;


  • Ó: nëpóutë 'nipote' a Barletta, vàucë ' voce' a Forio, urë ' ora' a Guardiagrele, culèrë 'colore' ad Atri, béunë ' buono' a Vasto, chéudë ' coda' a Popoli, cafàunë 'contadino' a Tocco da Casauria, sulë 'sole' a Guardiagrele e Roccamontepiano.


  • U: brìttë 'brutto' a Giulianova, dërrioupë 'dirupo' a Pennapiedimonte; lipë 'lupo' a Bellante, léupë 'lupo' a Pretoro e Castiglione Messer Marino, fàusë 'fuso' a Martina Franca, féusë 'fuso' a Palmoli, fóusë 'fuso' a Barletta, fièunë 'fune' a Torricella Peligna, tióttë 'tutto' a Guardiagrele, téu 'tu' a Castelli;



Casi particolari di metafonesi |


In diverse aree meridionali (ed anche mediane) si hanno casi particolari di metafonesi:



  • La metafonesi è provocata anche dalla desinenza originale latina -UNT- in un territorio mediano-meridionale che comprende l'Umbria meridionale (Norcia), il Lazio orientale, la zona aquilana, l'Abruzzo occidentale e buona parte del Molise (eccetto la parte orientale), la Campania nord-orientale (alta Irpinia). In questa area si ha, ad esempio, crìdënë 'credono', piérdënë 'perdono'.

  • La metafonesi è provocata anche dalle desinenze originali latine della 1ª e 2ª persona plurale -MUS e -TIS in un territorio che comprende buona parte della Campania e della Basilicata. In questa area si ha, ad esempio, sapìmmë 'sappiamo', sapìtë 'sapete'.

  • La metafonesi è provocata solo dalla -I finale in un compatto territorio adriatico che va dalla zona di Teramo (escludendo quella di Ascoli) al basso Molise (ivi inclusi alcuni comuni dell'estrema Puglia settentrionale).

  • La metafonesi di a è presente in un territorio che di nuovo comprende l'Abruzzo adriatico (e parte di quello occidentale) e parte del Molise. Secondo il Rohlfs[11], tale fenomeno si estende anche ad alcune zone del Basso Lazio e della Ciociaria.



Isocronismo sillabico |


In quasi tutta l'Italia meridionale orientale (Abruzzo peligno, chietino, della Val Pescara e parte dell'area vestina, Molise orientale, Puglia centro-settentrionale (tra Foggia e Taranto) e Basilicata nord-orientale), buona parte del sistema vocalico romanzo comune è stato successivamente alterato da una corrente linguistica che ha provocato l'apertura in è, ò delle vocali chiuse é, ó in sillaba complicata, ovvero nelle sillabe che terminano con una consonante, e la contemporanea chiusura in é, ó delle vocali aperte è, ò in sillaba libera, ovvero nelle sillabe che terminano con la vocale stessa. Questo fenomeno può essere anche parziale, limitato alla sola chiusura delle toniche aperte in sillaba libera, e presenta numerosi casi particolari, sovrapponendosi spesso ai frangimenti vocalici. Da qui la battuta (Avolio, 1995) per cui la frase italiana 'un poco di pollo', pronunciata da un napoletano un pòco di póllo in modo identico alla pronuncia standard italiana, suonerebbe in bocca, ad esempio, ad un foggiano, o ad un chietino un póco di pòllo. In realtà in napoletano "un poco di pollo" non suonerebbe come in italiano standard, poiché, come accade in gran parte del meridione, le vocali finali atone tendono a essere aperte ("un pòcò di póllò").



Propagginazione |


Un fenomeno distribuito a macchia di leopardo in vari dialetti meridionali consiste nella labializzazione della prima sillaba di una parola se è a contatto con l'articolo determinativo o indeterminativo maschile singolare (generalmente lu e nu). La labializzazione può verificarsi come inclusione di una u nella prima sillaba della parola (ad esempio, lu cuànë 'il cane', lu cuàvallë 'il cavallo'), o come arrotondamento della prima vocale (ad esempio, lu pònë 'il pane, lu vutiéllë 'il vitello'), o infine come labializzazione della prima consonante (ad esempio, lu cʷàmbë 'il campo', lu pʷàdrë 'il padre).



Casi particolari di vocalismo atono finale |


L'esito in schwa delle vocali atone finali non è generale: in una fascia che parte dal Basso Lazio (ad esempio a Minturno) e dalla provincia di Caserta (ad esempio a Prata Sannita) e, attraverso l'Irpinia arriva al Cilento ed alla Basilicata sud-occidentale, si ha spesso -o e talvolta -u. Nel Cilento meridionale l'uso di -u è generalizzato, tanto che questo dialetto è classificato spesso come meridionale estremo piuttosto che come (alto)-meridionale. Analogamente nella parte sudoccidentale della Basilicata si trovano termini come cirviddu per "cervello" e aggiu dittu per "ho detto".



Esiti della labiovelare secondaria |


La labiovelare derivante dall'incontro di -CU e vocale latini (ad esempio it. questo < *(EC)CU(M) ISTU(M)) presenta tre esiti differenti:



  • nelle aree interne di Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata, come nei dialetti italiani centrali e nella lingua italiana, si conserva (ad esempio, quìstë 'questo'),

  • ad ovest e a sud della prima area, cioè nel Basso Lazio ed in Campania, si riduce alla sola occlusiva velare (ad esempio, chistë 'questo'),

  • ad est della prima area, cioè nell'Abruzzo adriatico, Molise orientale, Puglia e Basilicata, perde il carattere labiale (ad esempio, custë 'questo').



Esiti di L, LL |


Davanti ad -i, -u, le liquide l e ll palatalizzano in un'ampia area tirrenico-appenninica che comprende aree mediane e alto-meridionali nel Lazio meridionale, Abruzzo e Molise occidentali, Campania settentrionale (ad esempio, all'Aquila béjju 'bello' ma bèlla 'bella', a Mondragone cappiéglië 'cappello'). Gli stessi fonemi l e ll si sviluppano in suoni cacuminali (dd pronunciata con la punta della lingua leggermente retroflessa) in diversi dialetti del Beneventano, dell'Irpinia, della Capitanata, del Salernitano e del Cilento meridionale (ad esempio, auciéddë 'uccello'), oltreché nell'area meridionale estrema. Il suono ll diventa dd anche in buona parte della Basilicata, dove la parola "gallo" sarà pronunciata gadd o localmente gàddu.



Conservazione di L dopo consonante |


Questo fenomeno guizzante interessa l'Abruzzo centro-orientale (ad esempio, flòrë 'fiore', blànghë 'bianco', ma anche pràttë 'piatto').



Esiti di consonanti davanti a I semivocalico |



  • il nesso BJ si continua come j (ad esempio, ajë < *HABJO < HABEO 'ho') nell'area mediana ed in quella alto-meridionale nord-orientale comprendente Abruzzo, parte del Basso Lazio, Molise, in buona parte della Puglia si ha "gghj" (ègghje 'ho') ; a sud ed ovest di quest'area si ha gg (ad esempio, aggë 'ho');

  • il nesso SJ passa a -sc- a nord della linea approssimativa Cassino-Gargano (ad esempio, càscë < *CASJU < CASEUM 'formaggio'), a sud della quale si ha s (ad esempio, casë 'formaggio');

  • il nesso CJ si presenta come cc (ad esempio faccë 'faccio') oltre che nella lingua italiana anche in buona parte di Abruzzo, Basso Lazio, Molise fino al Gargano e Campania, mentre ad est e a sud si ha l'esito zz (ad esempio, fàzzë 'faccio');

  • i nessi LJ, MJ e RJ passano a ll, mm e rr in diversi dialetti dell'area Lausberg (ad esempio, fillë 'figlio');

  • il nesso NG ha avuto lo stesso esito di MJ e MBJ in gn in una vasta parte dell'Italia centro-meridionale fino alle province di Salerno ed Avellino (ad esempio, magnà 'mangiare'), a partire dalle quali si ha invece conservazione del nesso (ad esempio, mangià 'mangiare').



Morfologia |



Tripartizione dell'avverbio di modo 'così' |


In area mediana, nel Lazio meridionale costiero e nell'Abruzzo occidentale (Marsica) si ha la tripartizione dell'avverbio di modo parallela a quella dei dimostrativi (ad esempio, ccoscì < (EC)CU(M) SIC 'così, in questo modo', ssoscì < (IP)SU(M) SIC 'in codesto modo', lloscì < (IL)LU(M) SIC 'in quel modo').



Mantenimento di -S e -T finali preromanze |


Diversi dialetti dell'area Lausberg mantengono -S e -T finali nella coniugazione verbale, attraverso lo sviluppo di una vocale paragogica (ad esempio, ad Oriolo càntësë '(tu) canti', càntëdë (egli) canta', cantàtësë '(voi) cantate', a Maratea dàvati 'dava', a Lauria tìnisi 'tieni', mangiàit' 'mangiò' ).



Irregolarità del presente indicativo |


Nell'area mediani nei pressi dell'Aquila (esclusa) i verbi alla 6ª persona dell'indicativo escono in -au (ad esempio, fau 'fanno', vau 'vanno').



Tipi arcaici del condizionale presente |


In tutto il Meridione sono presenti tipi arcaici del condizionale derivati dal piuccheperfetto indicativo latino (ad esempio, cantèra 'canterei', avèra 'avrei'), mentre nell'apulo-barese vengono utilizzate le forme "avésse a" o "jére a".



Conservazione del perfetto latino |


Nella Basilicata sudoccidentale, attorno ai comuni di Lauria e Maratea, si conserva, specialmente nel linguaggio degli anziani, l'uso del perfetto con forma identica a quella del passato remoto, simile all'uso calabrese meridionale e siciliano: disìra pu mi mangiai sulu nu pocu i pane, ca quiddu mali i panza mi fici passà a fame 'ieri sera poi ho mangiato solo un po' di pane , che quel mal di pancia mi ha fatto passare la fame', ngi jsti pu dijìri a casa i Maria? N'gia truvasti? 'sei andato poi ieri a casa di Maria? L'hai trovata a casa?', dijìri pu cchì facìstivi? Ssìstivi nu poco a'fora 'ieri poi che avete fatto? siete usciti un po' fuori?'



Oscillazione tra le coniugazioni |


In diversi dialetti di Campania, Abruzzo Meridionale, Basso Lazio e Calabria settentrionale, alcuni verbi mostrano un'oscillazione nell'infinito fra la 4a coniugazione in I e la 3a in E (ad esempio, in napoletano rurmì/ròrmërë 'dormire', saglì/sàgliërë 'salire', trasì/tràsërë 'entrare'). Parallelamente, il participio in -uto proprio della 3ª coniugazione è esteso a molti verbi della 4ª (ad esempio, asciùtë 'uscito', fërnùtë 'finito', jùtë 'andato').



Sintassi |



Essere come ausiliare dei verbi transitivi |


Molti dialetti di Abruzzo, Molise, con estensioni in Campania e nella zona di Bari presentano essere come ausiliare dei verbi transitivi, con l'eccezione della 3ª e della 6ª persona (ad esempio, a Crecchio sémë cërcàtë 'abbiamo cercato', sétë cërcàtë 'avete cercato', a Bari só vvìstë 'ho visto', sì ffàttë 'hai fatto').



Rapporto durativo |


Il rapporto durativo è espresso nei dialetti mediani, di Abruzzo, Basso Lazio e parte del Molise e dell'Alto Casertano da stare a ed infinito (ad esempio, chë stà a ddìcë? 'che sta dicendo?'); più a sud, si ricorre a stare e gerundio (ad esempio, chë stà facènnë? 'che sta facendo?').


Nella Puglia centrale, al contrario, il rapporto durativo viene espresso da stare a e l'indicativo del verbo; ad esempio: stè fèsce 'stai facendo', stoke a fazze 'sto facendo', stonne a fascene 'stanno facendo'. La stessa cosa vale per il passato: stè descive 'stavi dicendo', stè mangèvene 'stavano mangiando'. E anche per i verbi "andare" e "venire" vale la stessa regola: voke a doke 'vado a dare' , vè dè 'vai a dare', scí dème 'andiamo a dare', vení mangème 'veniamo a mangiare', vènghe a fazze 'vengo a fare' ecc...


Questa regola vale anche per i rapporti durativi a cui segue un altro verbo all'infinito, ad esempio " sto andando a dare" "stoke a voke a doke", "stanno andando a dare" "stonne a vonne a donne", "stiamo andando a mangiare" "stè scí mangème", stavo andando a mangiare " stè scí mangiai".



Lessico |



  • Termini tipici abruzzesi, ma anche mediani, molisani, laziali e campani: abballo 'giù', arrizzà 'alzare', còccia 'testa', cutturo 'caldaio, paiolo', ecco 'qui', èssë 'costì', maddemane 'stamattina', massera 'stasera', ràchënë 'ramarro'

  • Termini molisani, ma anche campani, del Basso Lazio e lucani: chianghiérë 'macellaio', lieggio 'leggero', mantesino 'grembiule', mesale 'tovaglia', encoppa 'sopra', palomma 'colomba', pertuso 'buco', stujà 'pulire', tanne 'allora, in quel tempo', vacante 'vuoto', vuotto 'rospo', zita 'fidanzato, -a', crisòmmola 'albicocca'

  • Termini tipici campani, ma anche presenti nelle regioni confinanti: arrassà 'scostarsi', cannaruto 'goloso', ranavòttëlë 'rana', schizzechéa 'pioviccia', scazzìmmë 'cispa', scuorno 'vergogna', scetà 'svegliare', sòsere 'alzarsi'

  • Termini tipici pugliesi e lucani: acchià/acchié 'trovare', attànë/atténë 'padre', 'che', cràjë/cré (dal Latino : Cras, poi evolutosi in "crai") 'domani', mìre 'vino', ne 'ci, a noi', mùedde 'bagnato', nu pìcche 'un poco', schìtte 'solo'.

  • Termini tipici dell'Area Lausberg lucano-calabra: talià 'distinguere bene con gli occhi', aggiu 'ho', vìnisi 'vieni', ciutu 'sciocco', iùmu 'fiume', zimma du purcu 'porcile' (questi termini sono tipici esclusivamente della zona di Lauria, e non hanno assolutamente nulla a che vedere con gli altri paesi dell'Area Lausberg).

  • Termini diffusi tipici dell'Appennino: àino 'agnello', appianà 'salire', cuccuvàja 'civetta', ziane 'zio'

  • Grecismi: càcchevo 'recipiente' < gr. kakkabos, campe 'bruco' < gr. kampe, nache 'culla' < gr. nake



Il meridionale nella letteratura e negli studi linguistici |



Placiti cassinesi |


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Lo stesso argomento in dettaglio: Placiti cassinesi.

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«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.»


(Capua, marzo 960)








«Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette.»


(Sessa, marzo 963)



Evangelizzazione dei cassinati per opera di San Benedetto









«Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte Marie.»


(Teano, ottobre 963)








«Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie.»


(Teano, ottobre 963)


Montecassino |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Montecassino.

Alle esperienze letterarie dell'Italia meridionale furono sensibili i monaci di Montecassino, centro di un'importante comunità di intellettuali nel Medioevo italiano. L'interesse letterario dei cassinensi, indirizzato prevalentemente a rafforzare l'esperienza della fede e della conoscenza di Dio, fu sollecitato da sempre secondo l'insegnamento lasciato da San Benedetto nella regola da lui redatta. Risalgono all'XI e al XII secolo dei manoscritti in volgare, di cui restano pochi frammenti, conservati nella biblioteca del monastero. È possibile distinguere in questa produzione una varietà di genere e stile insolita rispetto al contesto napolitano, che fu eguagliata solo con poeti toscani del XIII-XIV secolo e i successivi, tra cui Dante, in cui un complesso simbolismo religioso è sostenuto da gradevoli forme liriche, in Eo, sinjuri, s'eo fabello, o anzi in rime di gran pregio stilistico riesce a trapassare un realismo, di chiara ispirazione cristiana, che nella poesia medievale, ma anche nei classici, raramente fu espresso[12][13]:









(NAP)

«...te portai nullu meu ventre
quando te beio [mo]ro presente
nillu teu regnu agi me a mmente.»


(IT)

«[me che] nel mio ventre ti portai
perciò così ti vedo e muoio
or Tu ricordami nel tuo Regno»


(«Il pianto della Vergine Maria»[14])


La «scuola siciliana» |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Scuola siciliana.

Le opere prodotte da un gruppo di poeti del Mezzogiorno, nel XIII secolo, rappresentano l'inizio della letteratura volgare italiana. I loro testi sono assemblati per le tematiche simili, nonché per il sublime lirismo che li caratterizza, e vengono definiti espressione di una corrente letteraria detta «scuola siciliana». Sono le poesie di Giacomo da Lentini, Rinaldo d'Aquino, Pier della Vigna, Giacomino Pugliese e Guido delle Colonne. Dalla Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis però, che inizia con un'analisi sulla produzione degli scrittori federiciani, costoro sono trattati come il prodotto di un terreno artistico italiano uniforme su cui sarebbe maturata poi la letteratura italiana vera e propria. Inoltre, tanto coloro che adottarono il volgare pugliese quanto quelli che adottarono il volgare siciliano sono chiamati siciliani, perché con tale accezione si connotavano nel duecento, secondo il De Sanctis, coloro che provenivano dal Regno di Sicilia.




Federico ritratto con il falco (dal De arte venandi cum avibus).









«Per la vertute de la calamita

como lo ferro at[i]ra no si vede,

ma sì lo tira signorevolmente;


e questa cosa a credere mi 'nvita

ch'amore sia; e dàmi grande fede

che tuttor sia creduto fra la gente»


(Pier della Vigna)

I siciliani costituirono un'importante svolta poetica rispetto alla tradizione provenzale, a cui si ispirarono, per aver sublimato ulteriormente le strutture simboliche dei trobadori, estraniando le tematiche cortesi dai motivi politici e religiosi che invece colorivano la poesia occitana. I toscani però, che spesso copiarono i modelli siciliani, poterono evolvere ulteriormente l'esperienza meridionale, privilegiati dalla familiarità con la realtà cittadina e comunale, dove l'identità culturale era fortemente condizionata dall'appartenenza a fazioni politiche o dalla connivenza con corporazioni economiche: così la poesia italiana si arricchì di tutte le innovazioni tematiche e spirituali proprie dei primi ambienti borghesi. D'altra parte la poesia meridionale finì con il cristallizzarsi entro alcuni stereotipi, perché i letterati del Regno di Sicilia erano fortemente condizionati dal sistema centralista e burocratico dello stato unitario, secondo la critica idealista.





Castel del Monte


Più recentemente alcuni autori[15][16] stanno mettendo in luce differenze specifiche, rifiutando di considerare lo «stilnovismo» come l'esito o un superamento della poesia meridionale: i rimatori in volgare pugliese sarebbero infatti ispirati da una weltanschauung diversa da quella degli artisti toscani, dei liberi comuni, e non riducibile ad una sorta di fase primitiva della poetica toscana, caratterizzata principalmente da tematiche cortigiane interpretate secondo i modelli culturali ghibellini, come l'idea di un'unità della Chiesa, indipendente dalle nazionalità, che sostiene l'unità dell'impero; come la propaganda per la centralità del potere laico, da cui deve dipendere quello religioso, le politiche sociali e finanziarie; come la volgarizzazione del progetto di ricostruzione di un unico stato cristiano sotto un diritto e un sovrano comune; così coloro che scrissero in siciliano invece fecero propria la tradizione popolare della Sicilia che esprimeva in contrasti amorosi le continue lotte fra fazioni e gruppi politici che per secoli hanno spaccato l'isola, ora araba, ora normanna, ora ortodossa, ora cattolica, con il trionfo finale della civiltà e della tradizione locale contro usurai, feudatari e latifondisti.



L'età moderna |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Giulio Cesare Cortese.



Illustrazione di un'edizione della fiaba di Cenerentola del XIX secolo. Ne Lo cunto de li cunti esiste la prima trascrizione della favola della letteratura occidentale


Il più celebre poeta in lingua napoletana dell'età moderna è Giulio Cesare Cortese. Egli è molto importante per la letteratura dialettale e barocca, in quanto, con Basile, pone le basi per la dignità letteraria ed artistica della lingua napoletana moderna. Di costui si ricorda la Vaiasseide, un'opera eroicomica in cinque canti, dove il metro lirico e la tematica eroica sono abbassati a quello che è il livello effettivo delle protagoniste: un gruppo di vaiasse, donne popolane napoletane, che s'esprimono in lingua. È scritto comico e trasgressivo, dove molta importanza ha la partecipazione corale della plebe ai meccanismi dell'azione.



Prosa |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Giambattista Basile.

La prosa in volgare napoletana diviene celebre grazie a Giambattista Basile, vissuto nella prima metà del Seicento. Basile è autore di un'opera famosa come Lo Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenimiento de le piccerille, tradotta in italiano da Benedetto Croce, che ha regalato al mondo la realtà popolare e fantasiosa delle fiabe, inaugurando una tradizione ben ripresa da Perrault e dai fratelli Grimm. Altre prose sono alcune volgarizzazioni della regola di San Benedetto, attuata nel monastero di Montecassino nel XIII e nel XIV secolo e alcuni mea culpa o confessioni rituali scritte dai monaci cassinati per permettere la comprensione dei sacramenti cattolici anche a chi non conosceva la lingua latina.[17]



Cultura di massa |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Dialetto napoletano.

Negli ultimi tre secoli è sorta una fiorente letteratura in napoletano, in settori anche diversissimi tra loro, che in alcuni casi è giunta anche a punte di grandissimo livello, come ad esempio nelle opere di Salvatore di Giacomo, Raffaele Viviani, Ferdinando Russo, Eduardo Scarpetta, Eduardo de Filippo, Antonio De Curtis.


Sarebbero inoltre da menzionare nel corpo letterario anche le canzoni napoletane, eredi di una lunga tradizione musicale, caratterizzate da grande lirismo e melodicità, i cui pezzi più famosi (come, ad esempio, 'O sole mio) sono noti in diverse zone del mondo. Esiste inoltre un fitto repertorio di canti popolari alcuni dei quali sono oggi considerati dei classici.


Va infine aggiunto che a cavallo del XVII e XVIII secolo, nel periodo di maggior fulgore della cosiddetta scuola musicale napoletana, questa lingua sia stata utilizzata per la produzione di interi libretti di opere liriche, come Lo frate 'nnammurato del Pergolesi hanno avuto una diffusione ben al di fuori dei confini partenopei.



Note |




  1. ^ Avolio, 2011, p. 873.


  2. ^ Napoletano-Calabrese, su ethnologue.com. URL consultato il 14 dicembre 2014.


  3. ^ South Italian, su unesco.org. URL consultato il 14 dicembre 2014.


  4. ^ La nascita del dialetto / idioma napoletano, su Il portale del Sud.


  5. ^ G. Bertoni (1916), Italia dialettale, Milano, Hoepli, p. 152.


  6. ^ G. I. Ascoli (1882-85), L'Italia dialettale, in "Archivio glottologico italiano", 8, pp. 98-128.


  7. ^ B. Migliorini (1963), Parole Nuove. Appendice di dodicimila voci al "Dizionario moderno" di Alfredo Panzini, Milano, Hoepli, p. 177.


  8. ^ Sia la conca amatriciana che l'area del Cicolano sono territori storicamente abruzzesi e, solo dal 1927, con l'annessione del Circondario di Cittaducale alla nascente provincia di Rieti, sono stati inglobati nel Lazio.


  9. ^ Avolio


  10. ^ H. Lausberg (1939) Die mundarten Suedlukaniens, Halle, Niemeyer.


  11. ^ G. Rohlfs (1966-1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi.


  12. ^ Inguanez M., Un dramma della Passione del secolo XII, Miscellanea Cassinense 18, Montecassino 1939, p. 42.


  13. ^ Contini G. (a cura di), Poeti del Duecento, I, Milano-Napoli 1960, pp. 9-13.


  14. ^ Si tratta di un testo poetico molto diffuso nella tradizione popolare italiana del Medioevo, che però solo nell'ambiente cassinate sembra esser stato raffinato con uno studio metrico e poetico. Vedi anche Sticca S., Il Planctus Mariae nella tradizione drammatica dell'alto medioevo.


  15. ^ De Barholomaeis


  16. ^ Bertolucci-Pizzorusso


  17. ^ Rabanus



Bibliografia |





  • Francesco Avolio, Dialetti meridionali, in Raffaele Simone (a cura di), Enciclopedia dell'Italiano, Roma, Treccani, 2011, pp. 873-878, ISBN 978-88-12-00048-7.

  • Giuseppe Antonio Martino - Ettore Alvaro, Dizionario dei dialetti della Calabria meridionale, Qualecultura, Vibo Valentia 2010. ISBN 978-88-95270-21-0.



Voci correlate |



  • Lingue parlate in Italia

  • Italiano centrale

  • Dialetti d'Abruzzo

  • Dialetto arianese

  • Fonologia del dialetto di Sora

  • Dialetto alatrense

  • Dialetti italiani meridionali estremi



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