Antonio Segni
Antonio Segni | |
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4º Presidente della Repubblica Italiana | |
Durata mandato | 11 maggio 1962 – 6 dicembre 1964 |
Capo del governo | Amintore Fanfani Giovanni Leone Aldo Moro |
Predecessore | Giovanni Gronchi |
Successore | Giuseppe Saragat |
Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana | |
Durata mandato | 6 luglio 1955 – 19 maggio 1957 |
Capo di Stato | Giovanni Gronchi |
Vice presidente | Giuseppe Saragat |
Predecessore | Mario Scelba |
Successore | Adone Zoli |
Durata mandato | 15 febbraio 1959 – 25 marzo 1960 |
Capo di Stato | Giovanni Gronchi |
Predecessore | Amintore Fanfani |
Successore | Fernando Tambroni |
Presidente del Consiglio dell'Unione europea | |
Durata mandato | 1º luglio 1959 – 31 dicembre 1959 |
Predecessore | Charles de Gaulle |
Successore | Pierre Werner |
Vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana | |
Durata mandato | 1º luglio 1958 – 15 febbraio 1959 |
Presidente | Amintore Fanfani |
Predecessore | Giuseppe Pella |
Ministro dell'interno | |
Durata mandato | 15 febbraio 1959 – 25 marzo 1960 |
Presidente | Antonio Segni |
Predecessore | Fernando Tambroni |
Successore | Giuseppe Spataro |
Ministro degli affari esteri | |
Durata mandato | 25 marzo 1960 – 7 maggio 1962 |
Presidente | Fernando Tambroni Amintore Fanfani |
Predecessore | Giuseppe Pella |
Successore | Attilio Piccioni |
Ministro della difesa | |
Durata mandato | 1º luglio 1958 – 15 febbraio 1959 |
Presidente | Amintore Fanfani |
Predecessore | Paolo Emilio Taviani |
Successore | Giulio Andreotti |
Ministro della pubblica istruzione | |
Durata mandato | 26 luglio 1951 – 16 luglio 1953 |
Presidente | Alcide De Gasperi |
Predecessore | Guido Gonella |
Successore | Giuseppe Bettiol |
Durata mandato | 17 agosto 1953 – 18 gennaio 1954 |
Presidente | Giuseppe Pella |
Predecessore | Giuseppe Bettiol |
Successore | Egidio Tosato |
Ministro dell'agricoltura e delle foreste | |
Durata mandato | 14 luglio 1946 – 26 luglio 1951 |
Presidente | Alcide De Gasperi |
Predecessore | Fausto Gullo |
Successore | Amintore Fanfani |
Senatore della Repubblica Italiana Senatore a vita | |
Durata mandato | 6 dicembre 1964 – 1º dicembre 1972 (81 anni) |
Legislature | IV, V, VI |
Gruppo parlamentare | Democratico Cristiano |
Sito istituzionale | |
Deputato della Repubblica Italiana | |
Legislature | I, II, III |
Gruppo parlamentare | Democratico Cristiano |
Collegio | Cagliari (I e III legislatura), Collegio Unico Nazionale (II Legislatura) |
Sito istituzionale | |
Deputato dell'Assemblea Costituente | |
Gruppo parlamentare | Democratico Cristiano |
Collegio | XXXI (Cagliari) |
Sito istituzionale | |
Dati generali | |
Partito politico | Partito Popolare Italiano (1919-1926) Democrazia Cristiana (1943-1972) |
Tendenza politica | Doroteismo |
Titolo di studio | Laurea in Giurisprudenza |
Università | Università degli Studi di Sassari |
Professione | Docente universitario |
Firma |
Antonio Segni (Sassari, 2 febbraio 1891 – Roma, 1º dicembre 1972) è stato un politico, accademico e rettore italiano, quarto presidente della Repubblica.
Dopo aver ricoperto diversi incarichi governativi nei governi Bonomi III, Parri, De Gasperi I, De Gasperi VII e Pella, Segni fu per due volte Presidente del Consiglio dei ministri, dal 6 luglio 1955 al 15 maggio 1957 e dal 15 febbraio 1959 al 23 marzo 1960.
La sua Presidenza, che durò solo due anni e mezzo (dall'elezione del 6 maggio 1962 sino alle dimissioni volontarie del 6 dicembre 1964), fu la più breve della storia repubblicana dopo quella di Enrico de Nicola. Nel 1964 autorizzò il comandante dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo a predisporre un piano di emergenza, passato alle cronache come Piano Solo, da taluni definito come un tentativo di colpo di Stato.
Come Capo dello Stato ha conferito l'incarico a tre Presidenti del Consiglio: Amintore Fanfani (Presidente in carica nel 1962 al momento dell'elezione, di cui ha respinto le dimissioni di cortesia), Giovanni Leone (1963) e Aldo Moro (1963-1964); ha nominato tre senatori a vita nel 1963 (Ferruccio Parri, Cesare Merzagora e Meuccio Ruini). Non ha nominato alcun Giudice della Corte costituzionale.
Suo figlio Mariotto è anch'egli un politico.
Indice
1 Biografia
1.1 Formazione ed esordi in politica
1.2 Incarichi governativi
1.3 La presidenza della Repubblica
1.3.1 Elezione
1.3.2 Segni e il centro-sinistra
1.3.3 Segni e il Piano Solo
1.3.4 La malattia e le dimissioni
1.4 Gli ultimi anni
1.5 Segni nella cultura di massa
2 Onorificenze
2.1 Onorificenze italiane
2.2 Onorificenze straniere
2.3 Onorificenze dinastiche di ex Case regnanti
3 Note
4 Bibliografia
5 Voci correlate
6 Altri progetti
7 Collegamenti esterni
Biografia |
Formazione ed esordi in politica |
Antonio Segni nacque in una nobile famiglia sarda, ascritta al patriziato genovese dal 1752, da Celestino Segni e Annetta Campus[1].
Portati a termine gli studi liceali presso il liceo Azuni, si laureò in giurisprudenza nel 1913, aderì al Partito Popolare Italiano fin dalla sua fondazione e fu consigliere nazionale del PPI dal 1923 al 1924. Allievo di Giuseppe Chiovenda, professore universitario di diritto processuale civile dal 1920, insegnò in varie università tra cui quelle di Sassari (di cui fu magnifico rettore dal 1946 al 1951), Perugia e Roma. Dopo l'avvento del fascismo, smise temporaneamente di fare politica.
Incarichi governativi |
Nel 1942 fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e nel 1946 venne eletto deputato all'Assemblea Costituente. In quel periodo ricevette numerosi incarichi istituzionali e governativi:
- Sottosegretario all'Agricoltura dal 12 dicembre 1944 al 14 luglio 1946, nel governo Bonomi III, nel governo Parri e nel governo De Gasperi I;
Ministro dell'Agricoltura e Foreste dal 14 luglio 1946 al 26 luglio 1951 nei governi De Gasperi II, III, IV, V e VI;
Ministro della Pubblica Istruzione dal 26 luglio 1951 al 7 luglio 1953 nel governo De Gasperi VII e dal 2 agosto 1953 al 12 gennaio 1954 nel governo Pella.
Vicepresidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana e Ministro della difesa dal 1º luglio 1958 al 15 febbraio 1959 nel governo Fanfani II;
Ministro dell'interno dal 15 febbraio 1959 al 25 marzo 1960 nel secondo governo dal lui stesso presieduto;
Ministro degli affari esteri dal 25 marzo 1960 al 7 maggio 1962 nel governo Tambroni, nel governo Fanfani III e nel governo Fanfani IV;
accumulando un curriculum politico di ben 135 mesi da ministro, un record tuttora imbattuto per tutti gli altri Presidenti della Repubblica eletti sia prima che dopo di lui.
Fu Ministro dell'Agricoltura quando venne varata, grazie ai fondi del Piano Marshall, una riforma agraria detta Legge Stralcio (legge n. 841 del 21 ottobre 1950), da alcuni studiosi ritenuta la più importante riforma dell'intero secondo dopoguerra[4], che sancì l'esproprio coatto delle terre ai grandi latifondisti e la sua distribuzione ai braccianti agricoli di modo da renderli de facto piccoli imprenditori non più sottomessi al grande latifondista e facendo nascere successivamente forme di collaborazione come le cooperative agricole che, programmando le produzioni e centralizzando la vendita dei prodotti, diedero all'agricoltura quel carattere imprenditoriale che era venuto meno con la divisione delle terre.
In tale periodo, per controllare il suo bacino elettorale, pose al vertice della DC sassarese il cugino Antonio Campus. La linea locale fortemente anticomunista imposta da Segni è stata descritta in un'intervista da Francesco Cossiga, all'epoca giovane militante sassarese: "alla vigilia delle elezioni del 1948 ero armato fino ai denti. Mi armò Antonio Segni. Non ero solo, eravamo un gruppo di democristiani riforniti di bombe a mano dai carabinieri. La notte del 18 aprile la passai nella sede del comitato provinciale della DC di Sassari ...Prefettura, poste, telefoni, acquedotto, gas non dovevano cadere, in caso di golpe rosso, nelle mani dei comunisti"[2].
Politico di tendenze conservatrici, Segni fu due volte Presidente del Consiglio dei ministri. Guidò un primo governo centrista (DC-PSDI-PLI), dal 6 luglio 1955 al 15 maggio 1957, straordinariamente lungo per l'epoca e ancora oggi uno dei dieci governi più longevi della Repubblica italiana, e un monocolore DC che si resse con l'appoggio esterno di liberali, monarchici e missini, dal 15 febbraio 1959 al 23 marzo 1960; quest'ultimo esecutivo cadde perché le strategie politiche orientate a sinistra del segretario democristiano Aldo Moro e di Amintore Fanfani indussero le forze di destra a ritirargli la fiducia.
Durante il primo governo di Segni vennero firmati il 25 marzo 1957 i trattati di Roma istituendo la Comunità Economica Europea (CEE) di cui l'Italia fu uno Stato cofondatore ed il Mercato europeo comune; venne definitivamente creata e insediata la Corte Costituzionale fino ad allora mai entrata in funzione[3], venne varata la legge che garantì all'Eni l'esclusiva della ricerca e dello sfruttamento degli idrocarburi in tutto il territorio italiano (Sicilia esclusa)[3] e fu creato il Ministero delle partecipazioni statali organo del Governo italiano addetto alla supervisione e gestione delle partecipazioni statali nell'economia italiana determinando per le aziende statali anche un'autonomia sindacale «pubblica» e sottraendole alla disciplina confindustriale per assoggettarle a un regime proprio[4]. Durante il suo secondo governo venne istituito con la legge n. 617/59 il Ministero del turismo e dello spettacolo.
La presidenza della Repubblica |
Elezione |
Allo scadere del settennato di presidenza di Giovanni Gronchi, Moro non vedeva di buon occhio le manovre del presidente dell'ENI, Enrico Mattei, miranti alla rielezione del Presidente uscente[5]. Propose quindi e ottenne dal suo partito la candidatura di Antonio Segni, ritenendo che l'elezione di quest'ultimo, che era un conservatore, fosse necessaria per rassicurare le correnti della destra DC e guadagnare anch'esse alla sua politica di apertura al Partito Socialista[6]. Fu l'unica volta che un candidato ufficiale della DC alla presidenza della Repubblica uscì vittorioso dal responso delle urne[7]. Il partito, tuttavia, nei primi otto scrutini, non votò mai compatto per il politico sassarese, in quanto Gronchi ottenne sempre tra i 20 e i 45 voti, mentre altri consensi furono dispersi tra Attilio Piccioni (addirittura 51 voti al terzo scrutinio), Cesare Merzagora (tra i 12 e i 18) ed altri. Anche nello scrutinio decisivo vi furono 51 schede bianche di aleatoria attribuzione.
Antonio Segni fu comunque eletto Presidente della Repubblica Italiana il 6 maggio 1962 al nono scrutinio, con 443 voti su 842, comprensivi dei consensi del MSI e dei monarchici, che avevano cominciato a votarlo sin dal terzo scrutinio[8]. Prestò giuramento l'11 maggio 1962 e il giorno dopo respinse le dimissioni di cortesia presentategli dal Presidente del Consiglio Amintore Fanfani[9] che, pertanto, restò in carica sino alle elezioni politiche dell'aprile 1963, con la partecipazione di socialdemocratici e repubblicani e l'appoggio esterno del PSI.
Segni e il centro-sinistra |
I suoi due anni al Quirinale furono contrassegnati da tensioni con il blocco formato da Ugo La Malfa, il PSI ed una parte della DC che spingeva per riforme sociali e strutturali, invise ad un conservatore come Segni. Fu anche contrario alla candidatura Montini al soglio pontificio, tanto da far pervenire, tramite Luigi Gedda, il suo dissenso ai cardinali prima che entrassero nel conclave conseguente alla morte di papa Giovanni XXIII[10].
Il 16 maggio 1963, Fanfani, logorato dall'insuccesso alle elezioni politiche del 1963 rassegnò le dimissioni del suo governo. L'incarico venne affidato al segretario democristiano Aldo Moro, intenzionato a varare un nuovo governo DC-PRI-PSDI appoggiato esternamente dal PSI[11], ma gli organi direttivi del Partito Socialista fecero mancare la ratifica dell'accordo programmatico già concordato con Nenni[11] e il segretario DC fu costretto a rinunciare.
Segni designò allora il presidente della Camera, Giovanni Leone, specificando che, in caso di ulteriore fallimento, avrebbe sciolto il neo eletto Parlamento e indetto nuove elezioni[12]. Leone riuscì allora a costituire un monocolore DC di respiro transitorio – e, per tale motivo, detto dalla stampa «balneare» – con l'appoggio esterno di PRI, PSDI e PSI. Finalmente, nel dicembre 1963, Aldo Moro poté varare il primo governo di centro-sinistra della Repubblica italiana, con la partecipazione del Partito Socialista Italiano.
Il 17 settembre 1963, Segni inviò un messaggio alle Camere, a norma dell'art. 87 della Costituzione, con il quale si segnalavano alcuni problemi istituzionali collegati alle previsioni della Costituzione. In particolare, il presidente rilevava alcune difficoltà funzionali delle modalità di elezione dei componenti della Corte costituzionale - suggerendo le opportune soluzioni - e la necessità di prevedere espressamente la non rieleggibilità del presidente della Repubblica[13]. Mentre in seguito, con l'approvazione della legge costituzionale n. 2 del 22 novembre 1967, il Parlamento provvide a modificare la Costituzione nel senso indicato da Segni nella prima parte del suo messaggio[14], le norme sull'eleggibilità del presidente della Repubblica rimasero invariate.
Segni e il Piano Solo |
Come il suo predecessore, Segni era particolarmente vulnerabile alla personalità del generale Giovanni De Lorenzo, comandante dell'arma dei carabinieri, ex partigiano[15] ma di convinzioni monarchiche[16]. De Lorenzo, il 25 marzo 1964, si era incontrato con i comandanti delle divisioni di Milano, Roma e Napoli e aveva proposto loro un piano finalizzato a far fronte a una ipotetica situazione di estrema emergenza per il Paese. Per l'attuazione del piano si prevedeva l'intervento dell'Arma dei carabinieri e "solo" di essi: da qui il nome di "Piano Solo". Era inclusa una lista di 731 uomini politici e sindacalisti di sinistra che i carabinieri avrebbero dovuto prelevare e trasferire in Sardegna nella base militare segreta di Capo Marrargiu. Il piano prevedeva inoltre il presidio della RAI-TV, l'occupazione delle sedi dei giornali di sinistra e l'intervento dell'Arma in caso di manifestazioni filocomuniste[17].
Il 10 maggio De Lorenzo presentò il suo piano a Segni[18], che ne rimase particolarmente impressionato, tanto che nella successiva sfilata militare per l'anniversario della Repubblica, lo si vide piangere commosso alla vista della modernissima brigata meccanizzata dei carabinieri, allestita dallo stesso De Lorenzo[15]. Tuttavia sia Giorgio Galli che Indro Montanelli ritengono che non fosse nelle intenzioni del Presidente Segni eseguire un colpo di Stato, ma agitarlo come uno spauracchio a fini politici[15][19].[20]
Pochi giorni dopo, il 25 giugno 1964, il Governo Moro I fu battuto sulla discussione del bilancio del Ministero della pubblica istruzione, nella parte che assegnava maggiori fondi per il funzionamento delle scuole private. Pur non avendo posto la questione di fiducia, Moro rassegnò le dimissioni.
Il 3 luglio, durante le consultazioni per il conferimento del nuovo incarico di governo a Moro, Segni esercitò pressioni sul leader socialista Nenni per indurre il suo partito a uscire dalla maggioranza governativa, perché osteggiato dalle forze economiche; gli comunicò che comunque avrebbe rimandato alle camere, per riesame, il disegno di legge urbanistica Sullo - Lombardi, qualora fosse stato approvato[21].
Il 14 luglio, Segni convocò e ricevette al Quirinale il Capo di stato maggiore della difesa, generale Aldo Rossi e il 16 luglio il generale De Lorenzo[22]. Lo stesso giorno, De Lorenzo si recò a una riunione dei rappresentanti della DC, per recapitare un messaggio del presidente Segni[22]. Il contenuto del messaggio non è stato diffuso; alcuni storici, tuttavia, ritengono che si riferisse alla disponibilità del presidente, qualora le trattative per la formazione di un nuovo governo di centro-sinistra fossero fallite, di dare mandato al Presidente del Senato Cesare Merzagora di costituire un "governo del Presidente"[23].
Il 17 luglio, invece, Moro si recò al Quirinale, con l'intenzione di accettare l'incarico per formare un nuovo governo di centro-sinistra[22]. Durante le trattative, Nenni aveva accettato il ridimensionamento dei suoi programmi riformatori. Nell'Avanti! del 22 luglio si giustificò in tal modo di fronte ai suoi elettori e compagni di partito: "Se il centro-sinistra avesse gettato la spugna sul ring, il governo della Confindustria e della Confagricoltura era pronto a essere varato. Aveva un suo capo, anche se non è certo che sarebbe arrivato per primo al traguardo senza essere sopravanzato da qualche notabile democristiano"; e nel numero del successivo 26 luglio dichiarò: "La sola alternativa che si sarebbe delineata sarebbe stata un governo di destra... nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito"[24].
La malattia e le dimissioni |
Il 7 agosto 1964, durante un concitato colloquio con l'esponente socialdemocratico Giuseppe Saragat e il presidente del Consiglio dei ministri Aldo Moro, Segni fu colpito da trombosi cerebrale. Nessuno dei presenti ha mai fatto dichiarazioni sul contenuto del colloquio[25]. Ne seguì l'accertamento della condizione d'impedimento temporaneo, avvenuto con atto congiuntamente firmato dai Presidenti delle due Camere e dal Presidente del Consiglio; il 10 agosto assunse le funzioni ordinarie di supplente il Presidente del Senato Cesare Merzagora, mantenute fino al 29 dicembre.
Pur trattandosi di grave malattia, non si arrivò mai alla dichiarazione di "impedimento permanente", che avrebbe comportato una nuova elezione, e la situazione fu risolta dalle dimissioni volontarie, avvenute il 6 dicembre 1964.
Gli ultimi anni |
Divenne senatore a vita in quanto ex Presidente della Repubblica e morì a Roma nel 1972, all'età di 81 anni.
Nell'ambito dei festeggiamenti per i 450 anni dell'Università di Sassari, la sua immagine è stata apposta all'esterno del Dipartimento di Storia, scienze dell'uomo e della formazione dell'Ateneo. La sede stessa del dipartimento, tra l'altro, è l'ex abitazione sassarese di Antonio Segni (il c.d. "Palazzo Segni")..
Segni oggi riposa nel Cimitero comunale di Sassari.
Segni nella cultura di massa |
- Durante una missione a Parigi, Segni, allora Presidente del Consiglio, si recò in visita al Palazzo dell'UNESCO. Mentre si era fermato ad ammirare un grande affresco di Picasso, fu improvvisamente investito da giornalisti e fotografi e d'istinto, fece il gesto di coprirsi gli occhi dalla luce dei flash. Il giorno dopo, la prima pagina del quotidiano parigino "Le Figaro" scrisse: "Il Presidente del Consiglio italiano non nasconde il suo orrore davanti all'affresco di Picasso". Il titolo, che voleva essere denigratorio, fu però apprezzato dall'opinione pubblica italiana: giunsero infatti al politico democristiano numerose lettere nelle quali lo si elogiava per aver manifestato pubblicamente il suo disgusto per l'arte moderna.[26]
Onorificenze |
Onorificenze italiane |
Nella sua qualità di Presidente della Repubblica italiana è stato, dall'11 maggio 1962 al 6 dicembre 1964:
Capo dell'Ordine al merito della Repubblica italiana | |
Capo dell'Ordine militare d'Italia | |
Capo dell'Ordine al merito del lavoro | |
Presidente dell'Ordine della stella della solidarietà italiana | |
Personalmente è stato insignito di:
Cavaliere di Gran croce al merito della Croce Rossa Italiana | |
Onorificenze straniere |
Balì di Gran Croce di Grazia Magistrale con fascia del Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) | |
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Santa Sede) | |
Cavaliere di Gran Croce al Merito dell'Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania | |
— 1956 |
Cavaliere dell'Ordine dell'Elefante (Danimarca) | |
— 20 aprile 1964 |
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona di quercia (Lussemburgo) | |
Premio internazionale Carlo Magno della città di Aquisgrana - 1964
Onorificenze dinastiche di ex Case regnanti |
Cavaliere di gran croce del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio (Casa di Borbone-Due Sicilie) | |
Note |
^
Associazione genealogica sarda: La genealogia dei Segni
^ .mw-parser-output .chiarimento{background:#ffeaea;color:#444444}.mw-parser-output .chiarimento-apice{color:red}
aprileonline.info[collegamento interrotto] Aprileinfo
^ ab Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia dei due Giovanni (1955-1965), Milano, Rizzoli, 1989, p. 267.
^ Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia dei due Giovanni (1955-1965), Milano, Rizzoli, 1989, pp. 242-243.
^ Indro Montanelli, Storia d'Italia. Vol. 10, RCS Quotidiani, Milano, 2004, pagg. 340-341
^ Indro Montanelli, cit., pag. 342
^ Anche l'elezione al primo scrutinio del democristiano Francesco Cossiga, nel 1985, infatti, fu frutto di un accordo tra i partiti e non di una candidatura predeterminata.
^ Indro Montanelli, cit., pagg. 345-346
^ Francesco Bartolotta, Parlamenti e governi d'Italia dal 1848 al 1970. II vol., Vito Bianco Editore, Roma, 1971, pag. 281
^ Alberto Melloni, Montini, vince il Concilio (contro le riserve di Adenauer e Franco), da: Corriere della Sera, 15 aprile 2005
^ ab Indro Montanelli, cit., pag. 367-368
^ Indro Montanelli, cit., pag. 369
^ Atti parlamentari, Camera dei deputati, Seduta del 17 settembre 196.3
^ Norme sulla corte costituzionale.
^ abc Indro Montanelli, cit., pagg. 385-387
^ Sarà eletto nelle liste del PDIUM nella V legislatura
^ Gianni Flamini, L'Italia dei colpi di Stato, Newton Compton Editori, Roma, pag. 79
^ Gianni Flamini, cit., pag. 80
^ Giorgio Galli, Affari di Stato, Edizioni Kaos, Milano, 1991, pag. 94
^ (IT) Antonio Segni e il Piano solo: storia da riscrivere – Buongiorno News, su buongiornonews.it. URL consultato il 12 luglio 2018.
^ Indro Montanelli, cit., pagg. 379-380
^ abc Gianni Flamini, cit., pag. 82
^ Sergio Romano, Cesare Merzagora: uno statista contro i partiti, in: Corriere della Sera, 14 marzo 2005
^ Giorgio Galli, cit., pag. 94
^ La differenza di opinioni tra gli interlocutori dovrebbe aver avuto luogo in ordine alla nomina di un ambasciatore, secondo Alessandro Giacone, Le «Plan Solo»: anatomie d'un «coup d'État», Parlement[s], Revue d'histoire politique 2009/2 (n° 12), p. 84, nota 81, che ricorda come Saragat abbia sempre smentito che durante il colloquio fossero stati evocati gli eventi del precedente luglio.
^ Maria Paola Azzario Chiesa, L'Italia per l'UNESCO: 50 anni della commissione italiana, Armando Editore, Roma, 1999, p. 41-42
Bibliografia |
- Mimmo Franzinelli, Il Piano Solo, Milano, Mondadori, 2009
- Mimmo Franzinelli, Alessandro Giacone, Il Piano Riformismo alla Prova, Il primo governo Moro nei documenti e nelle parole dei protagonisti (ottobre 1963-agosto 1964), Annale Feltrinelli, Milano, 2012.
Voci correlate |
- Governo Segni I
- Governo Segni II
- Elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1962
- Piano Solo
- Capi di Stato d'Italia
- Palazzo del Quirinale
- Presidente della Repubblica Italiana
- Presidenti della Repubblica Italiana
- Festa della Repubblica Italiana
- Vittoriano
Altri progetti |
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Collegamenti esterni |
Antonio Segni, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
Antonio Segni (2, 3), su senato.it, Senato della Repubblica.
(EN) Antonio Segni, su Discogs, Zink Media.
(EN) Antonio Segni, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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Controllo di autorità | VIAF (EN) 89382842 · ISNI (EN) 0000 0000 8162 8983 · SBN ITICCURAVV65151 · LCCN (EN) nr2001029818 · GND (DE) 118796038 |
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